giovedì 27 settembre 2007

flashback #01

Ci fu un tempo in cui le nuvole di ogni nuovo giorno mi parevano le stesse. In realtà ero io a non avanzare. Sempre gli stessi colori in quei riflessi di città accesi dai trasversali raggi di luce.
Oggi guardo le nuvole che non han mai smesso di essere diverse, forse nemmeno io.
La mente contiene paradisi dei quali non sospettai nulla per ventidue lunghi anni. E certamente nessun Eden si mostra senza alludere ad una disgrazia.
Nulla di tutto ciò potè comunque eguagliare la visione del varco, quella notte che di fuoco si scolpì nella memoria, quando i 41° per la prima volta venivano raggiunti. Forse non avrei dovuto risvegliarmi.
Su tavoli scuri, semoventi e offuscati maturavo i primi dubbi. Quando i colori sparivano e gli altri ridevano. Quando ripercorrevo i sentieri di bagordi senza peso, nella silenziosa solitudine del ritorno. Mi sono chiesto quanto virtuale possa essere la percezione della vita, quando la mente decide di estraniarsi. Una delle infinite virtualità.
Poi, una mattina, ne prendemmo due. Stavano per strada e chissà da quale luogo provenivano.
Un altro paio di guanti in lattice sopra quelli che avevo già, è stato il mio primo pensiero.
Passami il Narcan mi disse lei. Al suono di quella parola rinsavirono, e vollero scendere. Basta solo una firma per farlo. Tutta storta, va bene lo stesso.
Alla sera stormi di volatili infastidivano le nostre orecchie dai rami zeppi di appigli. L'esplosione delle minerve bastava appena per tre minuti di sollievo.
Solo adesso mi rendo conto che ovunque vada, non v'è luogo dove stormi di malevoli uccelli smetteranno mai di lacerare i miei timpani. Unica consolazione è che lacerano anche i loro.

sabato 15 settembre 2007

K.N.E.L.

Viandanti tendenzialmente soli, camminiamo incauti tra file di binari ascoltando il vento. Forse l’eco di un lontano equilibrio gravitazionale spezzato ci ha raggiunti. Come siamo piccoli, come siamo fragilmente inconsapevoli, e forse solo per questo continuiamo a vivere. Decidiamo di proseguire al buio senza meta per credere di esserne capaci. I frantumi delle certezze mi feriscono dappertutto. Vedo occhi soffocare lacrime. L’empatia non mi basta. Come vorrei contrastare certe dinamiche della vita senza accorgermi di esserne un ingranaggio.
Viandanti tendenzialmente soli, vediamo muri crollarci attorno respirando polvere. Dalle nostre vette le cattedrali non sono più così alte, e il dolore assume forme diversamente mature. Come siamo ciechi, come siamo involontariamente ingiusti, e come ci rigenera esserlo. Persino il passato trasfigura alla luce del presente. Sento disperate parole mai nate non uscire da bocche serrate dallo sconforto. L’empatia non mi basta. Ci uniamo e camminiamo assieme tra le file di binari di questa vita, ascoltando il vento. Nessun viandante vuol esser solo per sempre. Ma invisibili treni ogni tanto ci travolgono. Mi fingo sordo perché ho già udito le mie stesse urla, cieco perché il dolore non necessita vista, muto perché nessuna delle mie infauste parole può donarvi conforto.

Ai cuori di persone uniche.

mercoledì 12 settembre 2007



Inchoate Echelon (oil on canvas w/board)